martedì 9 novembre 2010

Pensiero Uno oltre la psicoanalisi

Nell'incontro tenutosi a La Spezia il 5 giugno 2010, Bianca Pietrini e Fabrizio Raggi hanno relazionato sulla loro ultima pubblicazione “Il manifestarsi dell’essere in Silvia Montefoschi” .

Ciò che si narra nel libro, “Il manifestarsi dell’essere in Silvia Montefoschi”, è la storia del percorso che il pensiero ha fatto in Silvia Montefoschi, vista alla luce del punto di arrivo del percorso stesso; visione questa che ha permesso di cogliere la continuità di senso dell’intero discorso che si è svolto nella successione di numerosi libri.
Ma ciò che vogliamo esplicitare, con la presentazione di questo libro, è il senso che ha avuto, per Silvia, Bianca e Fabrizio, il loro stesso scriverlo: senso che è l’esperienza vivente della visione sintetica del pensiero uno, ovvero dell’essere, che è tutto ciò che è così come è nel momento in cui è.
Un tempo, non molto lontano da oggi, l’uomo, perché così l’essere si vedeva e così era, inneggiava: “W la difference” come fosse il momento di grande arricchimento, il punto basilare per diventare cittadini del mondo. Differenza che l’uomo sapeva in tutte le forme viventi e che riconosceva quale elemento portante il processo evolutivo delle forme stesse.
Se ogni forma vivente è intenzione fattasi azione che proprio nell’azione si manifesta forma pensante quale vivente, è nell’uomo che l’intenzione, che in lui opera, si fa azione nel pensare.
Quanto nell’animale è azione nel pensiero agito, per esempio si pensi al leone che insegue la gazzella per potersi cibare o si unisce alla leonessa per procreare, viceversa nell’uomo è azione nel pensare.
L’uomo per millenni si è confrontato con quanto in lui si dava istintivamente, quale residuo della sua condizione animale, e ha operato al suo contenimento dando vita a nuove forme, quali espressioni del suo così riflettere di quanto in lui si veniva pensando.
Si pensino: i graffiti nelle caverne; lo stesso bisogno di cibo che nell’uomo è divenuto cultura, nell’accezione dell’agricoltura e nell’accezione di riti o miti che hanno accompagnato e scandito il tempo della semina, del raccolto e del riposo; la scienza, la filosofia, l’arte e la tecnica che nel loro evolversi hanno scandito il divenire di tutta la storia umana.
Si pensi dunque al contenimento che nell’uomo si è compiuto, perché così nell’uomo urgeva, e lui lo ha realizzato. Il contenimento di tutte le pulsioni che se nell’animale si danno nell’immediatezza nell’uomo diventano oggetto di riflessione e di comprensione delle pulsioni stesse nelle quali si esprime tutta la dinamica dell’essere.

In tutte le forme pensanti, però, uomo compreso, non possiamo che riconoscere che un punto unificante: l’interdipendenza quale unica modalità relazionale di tutte le forme viventi.
A questo proposito ci sembra esplicativo il seguente proverbio africano:
ogni giorno il leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella altrimenti morirà di fame. Ogni giorno la gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone altrimenti verrà uccisa. Non importa che tu sia leone o gazzella. Comincia a correre.
Da ciò possiamo comprendere non solo che la vita nasce e cresce sulla morte ma che fra leone e gazzella c’è una relazione interdipendente fra colui che insegue e colei che è inseguita.
La stessa cosa avviene tra i soggetti umani i quali devono difendere non soltanto la sopravvivenza della loro forma corporea ma anche la loro identità egoica, per difendere la quale si riconoscono ciascuno come soggetto pensante facendo dell’altro l’oggetto del suo pensiero e quindi del suo potere.
E questa separazione tra soggetto pensante ed oggetto pensato è per l’umanità l’unica modalità relazionale che determina la separazione dei ruoli; separazione che è stata istituzionalizzata nel momento stesso in cui si è costituita l’organizzazione sociale umana.
Il sentirci dipendenti da.. l’essere condizionati da.. è una dimensione che appartiene all’uomo come la pelle che delimitando la sua forma lo fa esistente proprio in quanto separato dal resto del reale.
In prima battuta dipendiamo da mamma, papà, l’amico e il nemico, ma in ultima battuta ci riconosciamo tutti come dipendenti dall’imago di un padre universale chiamato dio e dall’ imago universale di una madre chiamata natura.
A causa di ciò gli uomini hanno da sempre vissuto la drammaticità di due dimensioni: quella del noumenico, o intelligibile, quella cioè del pensiero puro in cui si riconoscono come pure essenze pensanti, e quella del fenomenico, o sensibile in cui si riconoscono come corpi materiali in rapporto ad un mondo altrettanto materiale.
È ancora nell’uomo che l’intenzione si è fatta riflessione su come superare questa radicale contraddizione; cosa questa che gli uomini, quali pensanti, hanno tentato di realizzare ora negando il fenomenico, liquidandolo come pura illusione dei sensi, ora negando il noumenico, considerandolo un’astrattezza priva di consistenza proprio in quanto non esperibile nella concretezza sensoriale.
Se ripercorriamo le vie intraprese dall’uomo, da quelle più nefaste a quelle più esaltanti, non possiamo che riconoscere che, in ognuna delle diverse vie intraprese, viene mantenuta ferma la separazione sostanziale fra un esserci e un non esserci, la dove l’esserci è un soggetto e il non esserci è un oggetto, o viceversa.

In coloro però che seguono la voce che in loro si dice si sa di una distinzione, fra soggetto e oggetto, in cui essi stessi sono divenuti oggetto di un soggetto in loro.
Jung, nel “Libro rosso”, ci testimonia l’angoscia, il dolore, la gioia che l’uomo affronta nell’accettare quanto lo spirito del profondo impone alla coscienza umana e che l’uomo non può che accogliere, a dispetto di quello che lui chiama: lo spirito del tempo.
Jung scrive: … lo spirito del profondo mi costrinse a parlare alla mia anima come a un essere vivente ed esistente di per sé. Dovetti riconoscere che avevo perduto la mia anima … e ancora ci spiega che lo spirito del profondo vede l’anima: … come un essere vivente ed esistente di per sé, e con questo egli contraddice lo spirito del tempo, secondo il quale l’anima è una cosa dipendente dall’uomo, che si lascia giudicare e manipolare, e di cui possiamo dare un significato esaustivo.
Dovetti accettare che ciò che avevo precedentemente chiamato la mia anima non era affatto la mia anima, ma un sistema morto. Per questo dovetti parlare alla mia anima come a qualcosa di lontano e sconosciuto, che non esisteva grazie a me, ma grazie alla quale io esistevo … .
Jung , abbandonata la ricerca fuori di sé, seguì lo spirito della profondità che in lui si diceva, l’anima del mondo che è in tutti e che sola permette di dare unità a quanto è separato e insensato.
Sempre nel “Libro rosso” Jung scrive: … Sono stanco, anima mia, il mio vagabondaggio, la ricerca di me stesso fuori di me, è durato troppo a lungo.
… Io andavo per le vie del quotidiano, e tu invisibilmente venivi con me, mettendo insieme i pezzi in modo da avere un significato, e facendomi vedere il tutto in ogni parte…
… Finalmente imparerò che la mia anima sta dietro a ogni cosa, e se io vado per il mondo, in ultima analisi lo faccio solo per trovare la mia anima … .

Qui muta radicalmente la relazione dell’uomo con l’altro fuori, sia esso l’altro soggetto umano, l’esistente tutto o il pensiero unico ; l’altro non è più colui dal quale dipendiamo o che da noi dipende ma diviene colui grazie al quale, sempre secondo Jung, è possibile realizzare il dialogo con l’anima, lo spirito della profondità.
L’altro uomo diviene potenzialità, stimolo al dialogo interiore con l’anima a sua volta espressione dello spirito della profondità che comprende in sé tutto il tempo umano.
Si fa qui chiara e certa la continuità del pensiero che pur essendo in ogni uomo è oltre l’uomo stesso. In luoghi per così dire “atei” si fa presente una nuova istanza ‘il divino nell’uomo’.
È sempre Jung, testimone, in tutta la sua opera, dell’esistenza umana che trascende la vita particolare per abbracciare quella storica universale, che esplicitamente testimonia la ricerca e il ritrovamento del divino nell’uomo nel momento in cui l’anima così a lui si rivolge:
… tu dovresti essere lui stesso, non un cristiano ma Cristo, altrimenti tu non sei di nessuna utilità per il Dio che deve venire … A nessuno può essere risparmiata la via di Cristo, poiché questa via porta a ciò che deve venire. Voi tutti dovete diventare Cristo .
Ma in Jung, pur affidandosi allo spirito della profondità, facendosi così portatore di nuova coscienza, rimane il pudore che si fa nascondimento di quanto avvenuto in lui. Egli, infatti, diffida di pubblicare il libro del suo dialogo interiore avvenuto durante la sua intera esistenza e affida la pubblicazione del “Libro rosso”, la sua vera eredità al mondo, a dopo la sua morte.

In Montefoschi, viceversa, il dialogo interiore, quale presenza alla presenza dell’essere che in lei parla, è già dalla sua nascita, e questo proprio in quanto la mutazione che in Jung era iniziata già si era, in Montefoschi, portata a compimento.
Da ciò è facile comprendere che per Montefoschi, quale mutata, la presenza dell’essere in lei, del divino in lei, che per Jung era eccezionalità soggettiva e quindi anche dubitabile sul piano oggettivo, è viceversa certezza indubitabile che, naturalmente, in verità, si fa parola nella parola che in lei si dice.
Tutte le manifestazioni della sua esistenza sono infatti coerenti nel seguire la verità che in lei si svela assolutamente indifferente allo scandalo che tutto ciò può suscitare.
È proprio alla luce di ciò che possiamo accogliere quanto si legge nel prologo del libro che oggi vi proponiamo. Così nel prologo si dice:
“Quanto viene narrato in questo scritto, pur trattando la storia dell’essere che dal suo primo manifestarsi come esistente nell’evoluzione dell’universo realizza infine la consapevolezza di sé quale unico vivente, che è tutto ciò che è al di là di ogni distinzione tra essere e esistente, è anche la biografia di Silvia Montefoschi, la cui esistenza è stata appunto, nella sua piena consapevolezza, l’attuazione dell’essere che in lei si manifestava, sia nel pensiero sia nel comportamento, assolutamente coerente al pensiero stesso .
La storia della vita di Silvia Montefoschi è pertanto tutt’uno con quanto ella stessa ha scritto, come sotto dettatura, dell’evolversi del pensiero uno che in lei si faceva manifesto; e ciò non soltanto perché il suo scrivere è stato l’unico senso della sua esistenza, ma soprattutto perché la sua esistenza è stata soltanto l’attuarsi assolutamente coerente di quanto in lei il pensiero veniva manifestando, al di là di ogni possibile contraddizione.”
E qui, per maggiore chiarezza, aggiungeremo che questa coerenza si dà nel senso che qualsiasi evento si sia dato nell’esistenza di Silvia Montefoschi doveva darsi proprio così come si è dato, al di là di ogni apparente contraddizione, in quanto momento necessario del percorso che in lei l’essere veniva facendo per realizzare la visione di sé come uno, in cui non si dà come possibile un suo contraddirsi essendo l’uno tutto, tutto ciò che è.

Ciò che ha sostenuto Montefoschi in questo percorso è l’amore, che se da una parte è l’amore per l’interlocutore interiore: il suo vero e unico amante, si fa anche il dolore che si trasmuta nella ricerca dell’altro.
E ciò perché la donna lo sa, nel sapere che in lei si fa certezza, quando è l’essere che in lei si dice, che l’amore senza l’altro concreto della relazione non è compiutezza dell’amore stesso.
Perciò la donna che ha perso o mai avuta la presenza esterna dell’altro a lei essenziale per sentirsi esistente, proprio nel suo rispecchiarsi nell’altro, non può che ricercare con l’altro reale e concreto ciò che in lei urge come verità d’amore, ovvero la realizzazione dell’interlocutore interiore quale anelito dei due a tornare uno.
E per Silvia Montefoschi la ricerca non è così affannosa perché se Jung nel percorso era assolutamente solo, la nuova parola, incarnata in Montefoschi ed in lei fattasi consapevolezza, ha trovato puntuale eco in coloro con i quali si incontrava.

E ciò non deve stupire in quanto come sosteneva Teilhard De Chardin: le funzioni riflessive tendono a congiungersi. Per cui tutti coloro che, realizzata la mutazione, vengono a trovarsi a un livello di riflessione più elevato rispetto a quello del soggetto riflessivo individuale, e da questo livello danno voce alla parola che in loro riflettono, magari anche inconsapevolmente, essi non possono che naturalmente con lei e fra di loro incontrarsi.

E così la relazione con l’altro perde la funzione strumentale propria di tutto il relazionarsi umano. Infatti, l’interdipendenza, che permette ai soggetti riflessivi individuali, fra loro in relazione, di sentirsi esistenti nel reciproco rispecchiamento delle loro identità identificate con i ruoli, si fa, nella intersoggettività, la reciproca garanzia per sentirsi parti integranti dell’unico spirito profondità.

Così Montefoschi, fattasi presenza consapevole, si apre alla presenza dell’altra presenza nell’ è, nei tanti incontri con l’altro.
Gli altri possono essere tanti e tanti possono anche essere i dolorosi addii ma, poiché l’essere è amore e vita, in colei o colui in cui l’essere ha preso consapevolezza di sé rimane la certezza “dell’amore che ama l’amore” e “della vita che ama la vita” e allora anche gli addii, pur nel dolore, diventano continuità nell’affidamento all’inaspettato che sempre è fecondo.

Come vediamo muta, e questa volta radicalmente, la relazione con l’altro e quindi la relazione di ciascuno in sé.
Se per Jung l’esperienza con l’anima mantiene il sapore di immagine simbolica, in Montefoschi, viceversa, la presenza interiore si fa esperienza di una realtà vera e concreta in sé e fuori di sé.
In Jung l’anima, l’inconscio collettivo, è la storia creativa realizzata dall’umanità che ogni uomo porta in sé e che ogni soggetto umano rinnova nel realizzare in sé quella parte di inconscio collettivo che egli vede e che attua nel suo processo individuativo.
Allora in un dato momento storico l’inconscio collettivo è il mosaico in cui i tasselli sono le varie parti dello stesso toccate in sorte a ciascun individuo.
Per Silvia Montefoschi viceversa, l’inconscio collettivo non è la storia dell’umanità ma è la storia di tutto l’universo a partire dalla sua origine, storia inscritta nel codice genetico dell’umanità stessa.
Tale consapevolezza ha avuto inizio quando Montefoschi, per dare risposta alla ricerca del divino che sentiva forte in lei, aveva intrapreso attività di ricerca quale biologa.
È durante questa attività che vedendo la meravigliosa armonia dell’universo articolarsi in forme sempre più evolute, e di cui ella stessa si sentiva parte integrante, comprende chiaramente che la realtà è, gli avvenimenti sono, non sono un’immagine creata dall’uomo, bensì l’uomo è l’occhio tramite il quale la realtà tutta si vede.
Ma la voce in lei le diceva che continuando a contemplare il pensiero, quale dinamica che muove la storia tutta dell’evoluzione, soltanto nel suo aspetto esterno ella non prendeva in considerazione che proprio il pensiero è il pensare di un soggetto che pensa e che quel soggetto è proprio quella presenza che a lei si svelava come testimone dell’infinito.
Montefoschi si dedicò così alla riflessione psicoanalitica che è per eccellenza il metodo conoscitivo della ricerca interiore.
Durante tutto il percorso fatto, Montefoschi ha sperimentato che la dimensione così detta inconscia, quale progettualità storica di un dato momento dell’umanità, è la realtà vivente del momento storico in cui si dà.
Il sogno prospettico è la realtà del movimento trasformativo che l’umanità sta vivendo in un dato momento.
È così che, sempre Montefoschi, nel narrare la storia della grande trasformazione del nostro tempo, non si riferisce più ai tanti processi individuativi personali bensì ad un unico processo individuativo: il processo individuativo dell’essere uno che manifesta se stesso nelle tante voci che, dialogando tra loro, compongono un coro.
Allora il processo conoscitivo dell’essere viene così a coincidere con la vicenda esistenziale di ogni individuo, la quale non si dà se non nella concretezza del suo esserci al mondo, nella sua corporeità, in cui l’essere nel conoscere se stesso ha preso forma.
È a questo punto del percorso conoscitivo, di Montefoschi e della presenza che pensa in lei e con lei, che appare chiaro ai due che i messaggi che dall’inconscio dei soggetti umani emergono alla coscienza non riguardano più soltanto la storia dell’umanità, ma la storia dell’essere dal momento del suo primo manifestarsi.
È così che in Montefoschi l’uomo ritrova le sue origini. È a questo punto che tutto si riordina.

Infatti ...
Se Montefoschi, quale biologa, aveva visto l’universo in un progressivo evolversi di sistema in sistema in cui ogni forma trova il suo senso e si ordina in funzione al sistema sovraordinato, è con la psicanalisi che la meravigliosa esperienza dell’armonia cosmica si apre all’uomo.
La vita del singolo uomo si ordina in funzione al sistema sovraordinato che in sé lo comprende, e che è il sistema sociale.
Il sistema sociale, a sua volta, si ordina in funzione di un sistema sovraordinato che è il sistema cosmico, cosicché l’uomo viene a coincidere con esso.
Ma il punto ultimo di arrivo dell’evoluzione della coscienza umana è che anche il sistema cosmico si ordina in funzione di un sistema ad esso sovraordinato, che è l’uno come totalità dell’essere con cui il singolo uomo dovrebbe arrivare a sentirsi tutt’uno.
È Montefoschi che, grazie alla scoperta del vero metodo psicoanalitico che è quello della riflessione, sempre insieme a colui che con lei pensa, comprende che se la legge che governa il progressivo conoscersi dell’essere è il ripetuto salto su piani sempre più elevati di riflessione in un susseguirsi di sistemi ognuno dei quali ricapitola in se tutto il percorso fatto, allora il soggetto umano, che è la forma reale e concreta che sa di sapere di se come pensante, è la riflessione di tutto il pensiero che si dà nella forma corporea materiale umana che in sé non può che riassumere tutto il processo evolutivo vivente.
Così come la coscienza è il luogo dove l’inconscio discorre di sé.
Allora, essendo l’uomo il punto di arrivo dell’evoluzione dell’essere, e cioè il piano di coscienza dal quale l’essere vede se stesso, quanto l’uomo vede nel riflettere su di sé, non può essere che tutta la storia dell’essere sin dalla sua origine; storia che, inscritta nel codice genetico, all’uomo si palesa proprio nel dirsi dell’inconscio.
L’inconscio collettivo è, dunque, il codice genetico in cui è inscritta tutta la storia dell’evoluzione dell’universo.
È stato proprio con la psicanalisi, quale analisi dell’inconscio, che tutti i contenuti dello stesso, cioè le informazioni genetiche che via via venivano portate alla coscienza, grazie alla luce della riflessione, cessano di essere inconsce e diventano la realtà vera dell’esperienza che l’uomo fa nel quotidiano.

A questo punto l’inconscio si esaurisce perché tutta la progettualità dell’essere, che si dava ancora inconsapevole di sé nel soggetto umano, si è fatta consapevolezza dell’unica sola realtà vivente che è poi quella narrata da Giovanni e Silvia nel loro dialogo e che ha composto l’intero discorso di tutta l’opera scritta .
E questa sola realtà vivente è l’uno che si è realizzato nell’unione di Giovanni e Silvia nel momento in cui, al termine di tutto il percorso, si sono riconosciuti l’un l’altro come veri e reali soggetti viventi al di là della percezione sensoriale quale presenza al cospetto della presenza e quindi uniti nel loro quotidiano come se fossero una persona in due persone, al di là dello spazio e del tempo, pur nello spazio e nel tempo.

A questo punto, prima di concludere, vorremmo brevemente mettere in luce quanto segue e cioè che nella storia della coscienza umana quale momento, essa stessa, dell’evoluzione di tutto l’esistente dall’origine sino ad oggi, due sono stati i passaggi fondamentali.
Il primo passaggio è stato quello dalla coscienza adamica, che sancisce la netta separazione del divino dall’umano, alla coscienza cristica, quella che vede la consustanzialità tra uomo e dio anche se solo quale fatto spirituale ovvero del pensiero altro dalla vita concreta.
Evento questo, della manifestazione della coscienza cristica, subito ricondotto all’interno della logica dominante, quella della coscienza adamica, che sancisce, attraverso lo strumento del dogma istituzionalizzato, il principio secondo il quale Cristo è stato un fatto unico, divino che trascende la vita umana ed irripetibile.
Il secondo grande passaggio, che è l’attuale, è quello dalla coscienza cristica alla coscienza unitaria, di cui questo libro è testimonianza; coscienza in cui si realizza, come realtà concreta, l’identicità tra il divino e l’umano, al di là della separazione tra lo spirito e la materia, tra il pensiero e la vita.

Tutto ciò, necessariamente, comporta un lavoro quotidiano.
E il lavoro fondamentale, basilare, che ci sostiene lungo tutto il percorso, è il superamento della identità individuale e il riconoscere che la vita, quella specificamente umana, è tutt’uno con l’unica dinamica che ha dato origine a tutto ciò che è. Unica dinamica che ha sostenuto la progressiva evoluzione dalle prime particelle di materia e antimateria, ai protoni, atomi e molecole che per primi hanno popolato l’universo, sino alla molecola che, nel sapere di sé come un tutto distinto dal resto del reale, si è riconosciuta come vivente, per arrivare, passando attraverso il regno vegetale e animale, sino all’uomo quale forma vivente che sa di pensare.
E l’attuazione della coscienza unitaria, nella vita concreta di coloro che già ne portano in sé la potenzialità, comporta la radicale trasformazione del loro esserci in rapporto con tutti gli aspetti della realtà: siano essi gli eventi della vita, le relazioni che si danno di volta in volta con l’altro: il compagno o la compagna, il figlio o la figlia, o il genitore o l’amico; la trasformazione del rapporto con il proprio corpo: dalla sessualità alla malattia sino alla morte; nonché per ultimo, la trasformazione radicale del setting psicoanalitico.

Terminiamo con un messaggio onirico, giunto recentemente, che esprime sinteticamente quanto appena detto:
“Si sta levando un vento fortissimo che alza il mare; la sognatrice vede, lungo la via, le tante piccole case di fronte e, attraverso ogni finestra, le scene famigliari che si ripetono, uguali, in ogni casa: le persone sedute a tavola, la televisione accesa, la luce della lampadina, i figli che giocano.
La sognatrice pensa, con apprensione: si accorgeranno di quello che sta per succedere!
Arrivano il vento forte e le onde potenti del mare; la sognatrice, dalla finestra della sua casa osserva quanto sta accadendo; socchiude gli occhi e quando li riapre, vede che intorno non c’è più nulla, però tutto è più bello, tutto rinato a nuova vita.”

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