martedì 9 novembre 2010

Osvaldo Piccardo e il cinema di animazione

Osvaldo Piccardo, proto-autore del cinema disegnato del XX Secolo, si formò alla Sares e poi collaborò con Carlo e Vittorio Cossio ad uno dei loro primi filmati in animazione, "Zibillo e l’Orso". Durante la Seconda Guerra Mondiale collaborò assieme al suo giovane assistente Osvaldo Cavandoli al lungometraggio di Nino e Toni Pagot "I fratelli Dinamite". Negli anni 60 venne promosso da Sandro Pallavicini capo reparto alla Incom dove realizzò, oltre a diversi importanti filmati d’autore, moltissimi celebri Caroselli per i fratelli Gavioli, ideando il personaggio di Ulisse e l’Ombra. Irrisolta rimane la questione legata alla contesa sulla paternità del celebre personaggio de "La linea" che Osvaldo Cavandoli, suo giovane aiuto animatore dell’epoca della Pagot Film, gli avrebbe preso, come testimoniato in una memorabile lettera aperta al Direttore dell’ISCA Massimo Maisetti, fondatore del primo importante Istituto di Studi sul Cinema di Animazione in Italia. Piccardo intrattenne rapporti di stima e amicizia con Bruno Munari, Gillo Dorfles e moltissimi personaggi ed intellettuali del nostro tempo, i quali spesso si radunavano a discutere i loro concetti artistici a Monte Olimpino assieme a suo fratello Marcello.

Mario Verger ha curato la prima retrospettiva dei film di Bruno Munari e Marcello Piccardo nel 2000 al MatitaFilmFestival, e nel 2002, la retrospettiva su Osvaldo Piccardo, per i suoi novant’anni, grazie a Chiara Magri, Direttrice del Dipartimento della Scuola Nazionale di Cinema, presso la GAM (Galleria Arte Moderna) di Torino.

DIAVOLO DI UN PICCARDO
Osvaldo Piccardo il pioniere di Monte Olimpino
di Mario Verger
20/05/07

Fin da ragazzo avevo letto di Osvaldo Piccardo e mi aveva colpito che già a diciotto anni fosse al fianco dei Cossio a lavorare a "Zibillo e l’Orso". A Roma, dove aveva diretto dal 1961 il reparto della Incom, era ancora vivo il ricordo di questo straordinario pioniere della cinematografia a Passo Uno. Contattai Lello Fantasia, animatore della Incom, il quale, in ricordo, aveva ancora sul proprio tavolo di lavoro un vecchio Bollettino ISCA interamente dedicato alla diatriba sorta fra Piccardo e Cavandoli circa la paternità de "La linea". Fantasia, che sapeva che Piccardo si era trasferito dalle parti di Monte Olimpino, mi consigliò di contattare a Milano Vittorio Sedini, primo collaboratore di Piccardo alla Incom. Sedini, che conoscevo bene perché negli anni 70 firmò per Rai2 il serial Mariolino, fu molto cordiale mettendomi immediatamente in contatto con l’anziano capostipite dell’animazione italiana. Piccardo, che da anni viveva con la moglie Eva a Rocca D’Arazzo, in provincia di Asti, fu molto contento di conoscermi, rimanendo peraltro stupito dal mio entusiasmo verso i pionieri del cinema disegnato. Per anni gli promisi di andarlo a trovare ma non vi fu l’occasione; fra l’altro nel 2000, al MatitaFilmFestival organizzai, suggerito dall’interesse risvegliatomi da Adriano Aprà e Bruno Di Marino, una retrospettiva interamente dedicata alle opere del fratello, Marcello Piccardo, realizzate negli anni 60 assieme a Bruno Munari. In quell’occasione conobbi il nipote di Osvaldo, Andrea Piccardo, una persona simpaticissima che mi fece omaggio di un prezioso volumetto (1) scritto dal padre prima della sua scomparsa contenente i ricordi di Monte Olimpino. Due mesi dopo, nel Novembre del 2000, fui invitato a presentare "Cacasenno il piccolo grande Eroe" in concorso al TorinoFilmFestival e in quell’occasione mi fermai per il week end a Rocca D’Arazzo da Piccardo. Cosa curiosa è che in quell’occasione, con Marco Giusti in giuria ed Enrico Ghezzi con la sua inseparabile telecamera, oltre ad ospiti come Irene Grandi, Loredana Bertè e Asia Argento, il Festival promuoveva anche un filmato monografico che si avvaleva della consulenza di Maisetti dedicato al celebre "ideatore" de "La linea", Osvaldo Cavandoli.
Ricordo ancora Cavandoli, festeggiato da tutti, in uno dei più accreditati festival internazionali, diretto da Steve Della Casa e presieduto dall’anziano Gianni Rondolino. Non dissi nulla a Piccardo, ma mi divertiva comunque il fatto che, a distanza di poche ore, avevo davanti a me colui che a detta di molti era il vero creatore di Mister Linea. Osvaldo ed Eva mi vennero a prendere nel pomeriggio tardo alla stazione di Asti ed erano una coppia di vecchietti assai affiatata. Osvaldo aveva quasi novanta anni: alto, magro, viso allungato con barba, un cappello sulla testa, un tipo dall’aria vagamente ascetica ma ormai anzianissimo; Eva, più giovane, più bassa di lui, era una bella signora dai capelli argentati raccolti dietro la nuca. Piccardo, nonostante l’età, guidava ancora e salimmo nella sua Citroen AX rossa, per dirigerci con la pioggia verso Rocca D’Arazzo. I coniugi erano due persone straordinarie, vivevano soli in una casetta, da un lato sinistra dall’altro simile a quella di Biancaneve e i sette nani, con mobili in legno decorati da lei con colori tenui come rosa, violetto e azzurro. Per cena preparò tutte cose genuine mentre Osvaldo mi raccontava la storia dei suoi inizi, di quando a diciotto anni partì da Lodi per Milano per lavorare alla Sares con Biraghi a "La città del Duemila", ed in seguito dai Cossio alla Milion Film dove divenne primo disegnatore animando "Zibillo e l’Orso". Durante la cena i Piccardo mi raccontarono tutta la storia della loro unione. Eva era corteggiata da un uomo che le inviava delle lettere meravigliose, in realtà scritte da Osvaldo; a lei piacevano immensamente ma non amava veramente il fidanzato, cui teneva esclusivamente per l’intensità dei pensieri che le scriveva e provava invece un sentimento per Osvaldo; dopo la guerra ci fu il chiarimento, tornato dal fronte gli rivelò che l’autore delle missive era proprio lui e i due condivisero insieme il resto della loro esistenza. La storia risaliva al 1938 e Piccardo sembrava parlarne come di una cosa accaduta il giorno prima. Dopo cena, andammo al piano di sopra e parlammo a lungo riguardo al mondo dell’animazione italiana. Eva mi preparò una bellissima stanza per dormire, che mi faceva un po’ paura, con un letto alto in ottone, ed un grande materasso rigido con una vistosa coperta di lana ricamata da lei stessa. La mattina dopo, Osvaldo era già in salotto a leggere i giornali, in quanto ogni mattina andava in macchina a prendere i quotidiani che riceveva in abbonamento. Poi mi portò su, in un’altra stanza, dove vi erano tutti i suoi ricordi: da una cassettiera in legno estrasse delle grosse celluloidi; diverse tavole risalenti agli anni 30, disegni di Ulisse e l’Ombra, altra sua creazione per la Gamma Film, fino a quelli per la Incom dov’era caporeparto. Mi mostrò anche delle celluloidi originali della Disney che gli furono regalate quando andò per conto della Incom a far visita agli ‘Studios’ d’oltreoceano, dietro richiesta di Pallavicini. Mi mostrò anche delle foto dell’epoca scattate alla 3P Films. Verso sera, Osvaldo ed Eva mi accompagnarono nuovamente alla stazione di Asti per prendere il treno, e salutandoli, li abbracciai forte, come persone di famiglia. Lo stesso Osvaldo, sentì spontaneamente il bisogno di farlo, perché entrambi legati dall’amore verso questa straordinaria forma d’arte che è il cinema disegnato. Ultimamente, parlando con Chiara Magri riguardo l’articolo su Piccardo che compiva novant’anni, mi propose di rendere omaggio al pioniere di Monte Olimpino dedicandogli una personale in occasione degli Incontri Arte Animazione da lei curati.
La cosa oltre a farmi ovviamente piacere mi colse alla sprovvista; desideravo da sempre fare una retrospettiva su Osvaldo Piccardo, che conoscevo da tempo; due anni prima avevo organizzato quella di suo fratello Marcello e di Munari e pensavo che ormai non sarebbe più capitata l’occasione di organizzare quella a cui, per certi versi e vicinanza di genere, tenevo di più. Telefonai ai Piccardo per comunicare loro la ‘bella notizia’ e ne furono al momento entusiasti, anche se, mi disse Eva, vista l’età, sarebbe stato impossibile per Osvaldo muoversi da Rocca D’Arazzo a Torino. Qualche giorno dopo anche Chiara telefonò loro per il reperimento dei film, e poche ore dopo, anch’io chiamai nuovamente i Piccardo: Eva mi disse che “quella signora oltre a sembrargli molto preparata, aveva un tono di voce così cordiale ed entusiasta”, tanto da far venire ad entrambi il desiderio di presenziare. Non so che cosa fosse accaduto ma rimasi estremamente stupito per come, dopo la telefonata di Chiara, vidi in loro ribaltata completamente una situazione che fino al giorno prima sembrava, al contrario, persa in partenza. La presentazione su Piccardo si rivelò un grosso successo, riuscendo a “sciogliere” il compassato pubblico torinese. Iniziammo, per motivi di orari, Chiara ed io, al microfono, sapendo che Piccardo stava venendo da Asti. Parlai del pioniere di Monte Olimpino, ripercorrendone i duri inizi, la collaborazione coi Cossio, ed in seguito con Pagot, fino a quando era diventato direttore del reparto animazione alla Incom. Ma ecco che dal fondo della sala un brusio faceva capire che Piccardo era finalmente arrivato; in maniera un po’ trionfalista, lo raggiunsi, accompagnandolo sotto braccio, tra gli applausi, per raggiungere Chiara Magri di fronte al pubblico. Osvaldo, tra me e Chiara, anzianissimo con la barba lunga e un cappellino da eremita, era più contento e arzillo che mai: ad ogni frase che diceva, il pubblico, che aveva da poco ascoltato la storia della sua vita, applaudiva partecipe. Piccardo disse anche la sua stranissima teoria trinitaria, fra un coro di applausi di un pubblico che aveva conosciuto il più anziano cartoonist italiano. Applausi continui a non finire fino alla proiezione dei suoi filmati che riscossero un notevole apprezzamento. Devo dire che la mostra su Osvaldo alla GAM fu per tutti un’enorme soddisfazione, soprattutto per lui che, a detta di Eva, era contentissimo nel vedere quanti lo stimassero, ma devo essere grato soprattutto a Chiara Magri che, grazie alla sua preparazione e al suo entusiasmo, mi aveva permesso di realizzare un “sogno” che pensavo ormai svanito per sempre. Purtroppo, quella fu l’ultima volta che vidi Osvaldo Piccardo e quella alla GAM fu la retrospettiva finale del pioniere di Monte Olimpino, poiché, neanche un anno dopo, il più anziano capostipite dell’animazione italiana ci lasciò per sempre, ricordato come il precursore del cinema disegnato del XX Secolo.

Un altro capostipite dell’animazione italiana è Osvaldo Giovanni Virginio Piccardo, un personaggio alquanto "misterioso" (e che coltiva il mistero), come aveva scritto anni addietro Ermanno Comuzio, che iniziò giovanissimo negli anni 30 prendendo parte al "Cuorcontento" di Biraghi e al fianco dei Cossio in "Zibillo e l’orso". Nato a Genova nel 1912, fratello di Marcello, sin da bambino ebbe la vocazione del disegno animato. Piccardo definito da un raffinato studioso quale Fiorello Zangrando come "il signorile autore”, qualche anno or sono mi scrisse una preziosissima lettera in cui raccontava tutti i ricordi dei suoi inizi che costituisce una documentazione unica e finora inedita sulla storia del cartone animato a Milano. Ecco alcuni brani raccontati dallo stesso pioniere ligure, Osvaldo Piccardo: Perché il disegno animato?
"Ve lo spiego: vi racconto un sogno di quando avevo 7 o 8 anni.
Il sogno del diavolo soccorritore: mi è rimasto impresso e mi ha svelato nel tempo il senso del paradosso, che è poi strettamente legato all’umorismo. Il sogno è questo: da ragazzino io giocavo volentieri nel solaio di casa. Era ampio e non troppo buio e io potevo saltellare fra le grate degli scomparti.Una notte sogno di essere lì e a un certo momento sento uno scalpiccio strano alle mie spalle; giro la testa e vedo il diavolo che corre verso di me come per acchiapparmi. Scappo a perdifiato ma lui corre più di me, mi raggiunge e mi solleva fra le sue braccia. Terrorizzato io guardo alle sue spalle e vedo un topolino che rincorre a sua volta noi due. Succede allora che il diavolo ha paura dei topolini e per di più è un tipo soccorrevole: in effetti aveva voluto proprio salvarmi. Come vi ho detto questo è il motivo profondo della mia vocazione professionale: che usa il paradosso come strumento principe.
Un altro dei motivi a favore del film di animazione è dovuto alla circostanza che a 13 o 14 anni abitavo coi genitori a Codogno e frequentavo, da esterno, il collegio Ognissanti. Il collegio offriva ogni sabato agli alunni e ai parenti un pomeriggio di cinema al quale io non mancavo mai. C’erano cow boys famosi come Tom Mix e William Hart e magari i comici Cretinetti e Polidor, ma un sabato mi apparvero, a sorpresa, delle immagini in movimento che mi colpirono con effetto tanto dirompente che imprevisto. Si trattava di "Mio Mao", il "magico" personaggio di Messmer, come si legge nei libri sull’ animazione. In quel filmetto Mio Mao camminava su un filo teso per aria e quando il filo si interruppe lui continuò nel suo camminare, cadendo soltanto quando si rese conto di camminare nel vuoto. A questo punto io afferro il senso del paradosso, mi ricollego al diavolo del mio sogno e scopro, insieme, la mia vocazione di umorista. ‘Questo è il lavoro che voglio fare’ mi dico".
Nel 1930, terminati gli studi di ragioneria, partì da Lodi verso Milano in compagnia dell’amico pittore Fausto Locatelli, che poi insegnerà all’Accademia di Brera e, durante il viaggio, venne a sapere dalla fidanzata del suo amico che proprio a Milano esisteva una delle prime case di produzione di disegni animati. “Bene, in uno dei primi viaggi in treno da Lodi a Milano, la ragazza del Fausto che viaggia con noi si ricorda improvvisamente che un suo compagno d’ufficio sa dove c’è qualcuno che fa il disegno animato a Milano.
Lo stesso giorno io attraverso a piedi il ponte della Ghisolfa in direzione Bovina, periferia est della città: al termine del ponte, a destra, c’è uno spiazzo, e nello spiazzo un vecchio edificio imponente sormontato da una scritta vistosa: ‘MILANOFILM’. Un residuato degli anni ’10, mi dico. Entro e mi affaccio a un capannone gigantesco che riconosco come un set cinematografico, coi proiettori accatastati in un angolo, certamente a riposo da anni. Non oso entrare nel set e mi infilo per un lungo corridoio semibuio raggiungendo la porta aperta di un ufficio al cui tavolo siede un signore anziano dall’aria pacioccona. Evidentemente qualcuno l’ha avvertito del mio arrivo perché mi dice:"Vada più avanti!". Proseguo nel corridoio e sbuco in una stanza nella quale tre giovani sui vent’anni siedono a tre tavoli di animazione. Mi rendo conto di essere arrivato dove volevo e sono piuttosto commosso.
Umberto Biraghi, detto Berto, pittore cubista nonché pubblicitario, sfoglia il mio book pieno di scimmiottelli in bianco e nero nel mondo di Mio Mao, e mi dice che farà mettere un altro lavoro. Anche Ferruccio Vezzosi, pittore romantico da Pietrasanta salito al Nord in cerca di fortuna , e il terzo giovane di cui non ricordo il nome, guardano i miei disegni e sono d’accordo. Ma è ora di pranzo e usciamo per mangiare. I guai cominciano quando capisco che si sta lavorando a un disegno animato dal titolo "‘La città del Duemila", una specie di "‘Metropolis" zeppa di scure torri metalliche e di strade volanti. C’è un personaggio protagonista, Cuorcontento, ma non ricordo cosa se ne sia fatto. Ci sono però decine di corpuscoli neri che sarebbero i cittadini della città futura.
Dico subito a Berto che non si può fare un disegno animato come questo: è troppo complicato, opprimente ma soprattutto assolutamente privo di umorismo. Non riesco a convincerlo; anzi mi affida proprio quei corpuscoli neri che io dovrei animare in quella specie di avveniristico inferno dantesco. A proposito, dimenticavo di dire che nessuno di noi quattro conosceva la tecnica di animazione. Non ho mai visto in quel laboratorio una serie di disegni finita e numerata, né i rodovetri pronti per la ripresa. Non ho mai visto, nemmeno l’ombra di una verticale, l’apparecchiatura da ripresa dei disegni animati. Non parliamo poi del sonoro: che da pochi mesi soltanto rallegrava le prime proiezioni in America.
Devo dire, però, che nel sottotetto della nostra Casa cinematografica, all’estremità di scaffalature colme di scatole di film, sicuramente comiche degli anni del primo cinema italiano (Cretinetti e Polidor), c’era una piccola officina nella quale un ingegnere lavorava al tentativo di fare uscire suoni dal proiettore.
Io avevo con me la mia chitarra: un giorno l’ingegnere mi chiede un provino sul set: gli suono uno dei miei pezzi.
Il giorno dopo, all’audizione, solo qualche stridio indecifrabile.
La penosa situazione che ho descritto precedette per alcuni mesi senza novità di rilievo e io stavo proprio per decidermi alla fuga quando il signore anziano dall’aria pacioccona, amministratore delegato della MILANOFILM, passò da un giorno all’altro a miglior vita determinando la conclusione della mia prima esperienza di disegno animato".

Così si concluse la primissima esperienza lavorativa di Piccardo alla Sares. Subito dopo si dedicò alla caricatura (“Illustrazione Italiana”) e a vignette umoristiche decorative per la U.R.I.C., un’ elegante rivista di calzature di lusso. In seguito venne assunto dai Cossio alla Milion Film dove divenne presto primo disegnatore.

"E veniamo al ’30, l’anno dell’incontro con la ‘Milion Film’ dei fratelli Carlo e Vittorio Cossio.
Carlo era reduce da un’ esperienza di animazione in Francia dove era stato per due anni, così che alla ‘Milion’ io imparo finalmente le regole e i trucchi del mestiere animando il personaggio più facile, Zibillo, del lungometraggio "Zibillo e l’orso".
L’ambiente era ordinato e simpatico, coi tavoli d’animazione messi in fila verso le pareti e dotati di poltroncine girevoli in pelle arancione. Ricordo gli animatori Nando Corbella e Colman e però faccio amicizia soprattutto con Vittorio: il nostro lavoro di ideazione prosegue sul sedile di poppa del tram di periferia che ci porta a colazione per riportarci allo studio. E voglio accennare qui al problema del mangiare a Milano che non era poi così semplice. Non tanto a causa di Milano quanto al fatto che sia alla ‘Milano Film’ che alla ‘Milion’ le paghe erano piuttosto basse: la ‘Milano Film’ ere quello che era e la ‘Milion’ aveva come finanziatore un salumiere amante dei cartoni ma parsimonioso coi soldi.Il segreto era quello di andare in latteria, piuttosto economica, e di ordinare un bel piatto di riso al burro e due uova al tegame. Il problema era però che il riso lo ordinavamo a mezzogiorno e le uova la sera. Certo eravamo giovani e avevamo il sacro fuoco dentro. La preparazione del film dura alcuni mesi: io mi divertivo molto, ma soprattutto alla visione delle parti realizzate. A fine lavoro Vittorio mi chiede se conosco un musicista adatto per la colonna sonora e io gli suggerisco subito un altro dei miei amici di Lodi, Luigi Molina, detto Gino, violinista dell’orchestra della balera all’aperto che guardava verso la provinciale per Milano. Molina mi aveva fatto conoscere il jazz, che era appena arrivato a Lodi, e insieme avevamo trascorso a casa sua serate indimenticabili: lui inventava canzoni col suo violino, io, visto che non sembrava poi una cosa del tutto impossibile, ne inventavo a mia volta con la mia chitarra, mentre un terzo amico musicista di cui purtroppo non ho più ricordato il nome, riportava diligentemente in bella scrittura le nostre composizioni, se così si può dire. Resta il fatto che Luigi Molina adattò una bella colonna musicale a "Zibillo e l’orso" e ricordo ancora molto bene una stanzetta di trenta metri quadri con le pareti imbottite, (era la prima sala di registrazione dei fratelli Donato) e il piccolo gruppo jazz che provava i pezzi della colonna. Ricordo altresì che, poco convinto circa le doti del direttore dell’orchestrina, Molina gli tolse di mano la bacchetta e portò a termine la registrazione con la sua carica di artista. Come si sa, i pionieri sono quasi sempre dei dilettanti. Più ancora di questa circostanza ricordo però il giorno della presentazione del nostro "Zibillo e l'orso" in un lussuoso cinema del centro. Se non erro si trattava della prima serata della prima edizione del Festival del Cinema Italiano inaugurato a Milano con il film "La canzone dell’amore". In sala non c’era molto pubblico. Al termine del film d’apertura noi della ‘Milion Film’ e una decina di amici lodigiani e milanesi, aspettammo con ansia l’apparizione di Zibillo sul grande schermo. Zibillo apparve, e anche l’Orso, ma la musica di Molina era soltanto una sequela di gracchiatine del tutto incomprensibili. Il chè non impedì al nostro piccolo gruppo di applaudire con roboanti scrosci di mani e di voci mentre lo scarso pubblico si avviava distrattamente verso l’uscita".

Dopo la guerra entrò a far parte dell’equipe di Pagot, che conosceva da tempo, prendendo parte alla lavorazione de "I fratelli Dinamite". Dopo la prima esperienza alla Sares, Piccardo, infatti, occupandosi di illustrazioni, aveva conosciuto il disegnatore friulano Nino Pagotto.

"Ogni tanto passo a trovare Pagotto, uno dei miei miti quali Antonio Rubino che avevo scovato alla Mondadori, e Giovanni Manca , il prestigioso vignettista del Guerin Meschino.
Con Pagotto diventammo amici e ci ritrovammo, 15 anni più tardi alla sua ‘Ars Film’ per il lungometraggio "I fratelli Dinamite". Guarda caso, a me spetta di animare il diavolone".

Al lungometraggio di Nino e Toni Pagot partecipò anche il fratello di Osvaldo, Marcello; mentre il giovanissimo Osvaldo Cavandoli era l’aiuto animatore di Piccardo.
In seguito si mise in proprio fondando a Milano la Piccardo Disegni Animati, con un simpatico diavoletto come mascotte su carta intestata disegnata da Munari.

Nel 1951 Piccardo ebbe un importante commissione pubblicitaria dalla Svizzera.
Quello che segue è l’elenco di filmati per Zurigo (Standard Film) per la Nestlé degli anni 1951-53, che iniziò con la confezione di un cortometraggio per Pirelli," Fantasia di una Giornata di Pioggia" (mt.80). All’epoca Il colosso multinazionale della Nestlé intendeva lanciare il suo nuovo prodotto Nescafé in tutto il mondo. Piccardo pensò di illustrare il fascino irresistibile della nuova bevanda nei diversi paesi del globo terrestre. Bisogna riscontrare il fascino delle sue prime pubblicità, ancora non intrise dallo stile “secco” degli anni ‘60 ma legato ancora ai clichés antichi. Stile che si può felicemente ravvisare in "Un Arome fait le tour du monde" (mt.90), Standard film per la Nestlé, in cui vi sono personaggi di ogni continente giocati con eccellenti colori tonali. Interessante è la breve sequenza ambientata in Africa dove una giovane e affascinante Zulu balla al ritmo dei tamburi, muovendo natiche e seno, possedendo -nel disegno- quella geniale sintesi e quell’esasperazione dei movimenti (che spesso ponevano esageratamente il personaggio in primo piano), che risaliva senz’altro all’esperienza acquisita dai Pagot durante la lavorazione de "I fratelli Dinamite".
A conferma di quanto sostengo, in una lettera inviatami dalla moglie, Eva Piccardo fa delle osservazioni sulla pubblicità in questione. Conclude le sue impressioni sul suddetto filmato scrivendo:Di rilievo la scioltezza e lo humour dell’animazione e l’originalità dei disegni, senza che si faccia menzione a Pagot. E’ interessante notare che ‘scioltezza’, ‘humor’ e ‘originalità’ sono le principali caratteristiche ravvisate in tutti i testi di cinema di animazione nello stile di Nino Pagot, e che quindi Osvaldo Piccardo abbia saputo prendere quella vena pirotecnica che lo caratterizzava.
Seguì "Diavolo di un Diavolo" (mt.90) per Benelli Superiride, nei cui titoli appare già un nutrito gruppo di collaboratori d’élite: consulenza grafica di Bruno Munari, organizzazione generale Osvaldo Piccardo, animazione Marcello Piccardo e sceneggiatura di Attilio Giovannini. Il " Super Faust del DDT" della ditta Ruggero Benelli trovò ottima interpretazione nella pubblicità di Piccardo. Egli infatti preferì la figura del diavolo alle altre, come mi raccontò lui stesso.
A parte queste “curiose” considerazioni, la pubblicità in questione è interessantissima poiché si intravedono quegli elementi che caratterizzarono l’animazione italiana degli anni 30 e 40, ravvisabili in quella sontuosità di movimenti per cui si utilizzavano centinaia di rodoid per rendere l’effetto più “morbido” ed animato. Inoltre, interessante è la lucidatura dei personaggi eseguita non con il tratto a china nero, bensì utilizzando un inchiostro più scuro del colore sottostante; tecnica laboriosa usata fino al dopoguerra. Qui i colori sono corposi e massicci, mentre le scenografie a gradazioni tonali.
Seguirono, sempre per Zurigo (Standard Film) una serie di brevissimi spot in movimento chiamati “Diaviva”, che preludevano ai filmati pubblicitari cinema antecedenti Carosello: "Alì Babà prend le Café" (mt.12), "La Gelérie des Ancetres" (mt.12), "Feux d’artifice" (mt.12), "Etoiles porte bombons" (mt.12), "Neon" (mt.12), "Lipstik" (mt.12), "Une drôle de façade" (mt.12) per Maggi, "Une montre autour du Monde" (mt.8) per Ardath Watch, "Pétits Chats au lit" (mt. 10) per Beka. E una serie di brevissimi short di carattere pubblicitario per Omega, di 12 mt. cadauno, quali: "Sports", "Avions", "Desért", "Planètes", "Costellations", "Poisson".
In seguito, supportato dai capitali di Maria Pirelli, Piccardo fondò la 3pFilms (Piccardo – Pellegrini – Pellegrini), il cui staff era di prim’ordine con la partecipazione di raffinatissimi e innovativi personaggi della cultura milanese del tempo: Elena Pellegrini, Massimo Vignelli (oggi tra i massimi designer americani), Raffaele Carrieri (regista, figlio di Mario), Memmo La Rocca (noto direttore della fotografia), Dario Fo (attore e sceneggiatore), Giuseppe Trevisani, Fiorenzo Carpi fratello di Cioni, Marcello Piccardo (giornalista, sceneggiatore e illustratore di libri).
Tra il 1953 e il 1961 realizzò diversi cortometraggi pubblicitari tra cui, "Uomini contro il dolore", "A tutte le donne del mondo".
Nel successivo "Il Processo" Piccardo giunse ad un disegno altamente innovativo.
La pubblicità per il Tovagliato Santoflex, nei cui titoli compare la firma di Dario Fo come sceneggiatore, è straordinaria poiché vi si possono registrare quelle connotazioni dell’animazione classica abbinate ad alcuni intuizioni moderne. Non più linee curve né particolari fronzoli stucchevolmente disneyani ma la ricerca di forme nette, lineari, decise, ma non per questo meno comunicative. Il collegio di giudici è altresì eloquente sia nelle forme legnosamente tondeggianti sia nei colori freddi che giocano su studiate armonie di linee e di forme. Osvaldo Piccardo, che ha il suo studio a Milano, è tra i giovani disegnatori quello che forse si è spinto più lontano alla ricerca del segno e della grafia che molte volte ricordano gli apprezzabili risultati dell’U.P.A. Piccardo dà alle sue figure una forma funzionalistica e sembra privarle di corpo e di consistenza ricavandone i contorni liberi nello spazio come se le scenografie fossero pure presenze astratte (2), aveva giustamente scritto Walter Alberti.
Piccardo gioca in un geniale insieme di sintesi grafiche: un disegno sapientemente stilizzato accompagnato da movimenti morbidi, uno stile asciutto e simbolico per pubblicizzare il Tovagliato Santoflex, ne fanno un artista poliedrico che si esprime, in un continuo misto, fra analisi e sintesi, fra realismo e simbolo, fra antico e moderno. Giulio Cingoli, pioniere della seconda generazione, nel capitolo da lui scritto "Il cartone animato lombardo dalle origini agli anni ‘70", in una recente pubblicazione ne ricorda lo spessore scrivendo: "Una figura importante con cui sono venuto a contatto in quel periodo è quella di Osvaldo Piccardo. Lo stile di Piccardo era lontano anni luce da Disney, ma di Disney aveva la capacità di creare figure affettive, figure che comunicavano simpatia, antipatia, solidarietà o repulsione. Con uno stile essenzialissimo, Osvaldo e suo fratello Marcello hanno sempre dato anima a ogni particolare del loro spettacolo, così che tutto ciò che si muoveva sullo schermo appariva vivo e umano (3)".
"H2O" è un film ricco di trovate e di tecniche eterogenee, con il commento musicale composto da Fiorenzo Carpi. Piccardo è stato sempre un precursore con la voglia di perscrutare nel futuro, avendo l’unico torto di anticipare i tempi: se nel film precedente si sgancia dall’animazione anni 40, in quest’ultimo prelude ad un genere sperimentale che si svilupperà un decennio dopo in cui è evidente l’ausilio di una collagistica unita ad elementi di fotoriproduzioni.
In "Miraggi" il suo stile diviene definitivamente ‘asciutto’ e maturo. Visualizzazione efficace ed eloquente: gli elementi sono pochi ed efficaci: il deserto, il sole rovente e un esploratore stremato. Il film rimase celebre soprattutto perché, dopo vari premi, vinse anche quello nel 1956 per la migliore trovata pubblicitaria: l’idea di un’ esploratore nel deserto , esausto dal caldo, che come miraggio trova un frigorifero ghiacciato. A questo seguirono "Lascia o cancella", "Radiomarelli", "È il marchio che conta".
Il successivo "Complessi", che pubblicizza la lavatrice moderna Zerowatt, è incentrato su una seduta psicanalitica: la paziente è invitata ad andare indietro nel tempo e ciò giova alla creatività dell’artista che crea una serie di forme che si animano in prospettiva in perfetta simbiosi con i protagonisti al ritmo di musica elettronica che dona al filmato un’ atmosfera onirica ed eccentrica. Film a cui ne seguirono altri quali "L’aumento", "Sangemini l’acqua che dona salute", "Rugiada di bosco", "Primavera dell’organismo".
Dopo aver confezionato decine di pubblicità per i fratelli Gavioli, Piccardo venne chiamato a Roma come caporeparto alla Incom. Nella sede romana trovammo attivi come animatori, Vittorio Sedini, Guido Gomas, Lello Fantasia; Paolo Di Girolamo, Giorgio Michelini, Francesco Valeriani, Franco Cristofani; i fratelli Sergio e Sandro Costa, Alfonso Mulà, Gianluigi Carancini; la capocoloritrice era Elena Boccato Guido, moglie di Gibba.
L’ambiente della Incom non era dei più felici. Piccardo una volta arrivato, trovò un’enorme disorganizzazione. Oltre ai diversi Caroselli, da realizzare con la cadenza di uno a settimana, dietro autorizzazione di Pallavicini, mise in cantiere un cortometraggio d’animazione su soggetto di Carancini, con musica di Sedini, intitolato "L’onesto Giovanni" (1961), un film interessantissimo un po’ autobiografico (Piccardo si chiama anche Giovanni) e dedicato a un grande rappresentante della Pace: Giovanni XXIII; un omaggio alla pace e non alla guerra ma ad una pace mediatica, meditata, calibrata, diplomatica.
Un film in onore al primo missile lanciato dagli americani, "Honest John", con alla base ritmo, puro ritmo. Straordinario dal punto di vista compositivo: non pupazzi come protagonisti ma mani; mani grandi, mani che indicano, mani di diverse dimensioni disegnate a tratteggio a mo’ di stampe ottocentesche: I vuoti, le attese, gli scatti che seguono a movimenti guardinghi, i dispettucci bambineschi, le rivincite e i diversivi impotenti e la prudenza carica di tensione, le scaramucce insensate e un penetrante fissarsi negli occhi come a prevedere e anticipare le mosse dell’ altro. E da ultimo la grandiosità incalzante della contesa, il duello finale, la resa dei conti, delle due manone improvvisamente troppo grandi, immense, che non rispettano più il progredire costante e prevedibile della misura delle manine che le hanno precedute, aveva osservato Eva Piccardo.
Suono e immagini mai l’un l’altro pleonastici ma carichi di una raffinata e costante suspance in un crescendo apocalittico di grande effetto.
A questo ne seguì un altro, "Gigetto carogna e il capostazione" (1963), realizzato sempre nella sede romana della Incom, incentrato sugli antagonismi già presenti in "Ulisse e l’Ombra". Al posto del piccolo signore con i baffi e paglietta vi è un simpatico capostazione dalla forma a barilotto, che non si trova di fronte alla sua ombra ma ad un cattivo spiritello. Anche qui il vero protagonista del cartoon è il vispo diavoletto che fa di tutto per far perdere la pazienza al capostazione. Notevoli i binari su fondo neutro e delineati da grandi linee curve decise che ricordano fortemente lo stile liberale di Marcello Piccardo; al contrario vennero eseguite dallo scenografo della Incom, Alfonso Mulà che era rimasto affascinato dalle illustrazioni del libro pubblicato da Einaudi, "La balena Giona" realizzate da Marcello Piccardo, appunto, tanto che decise di adottarne lo stile.
Notevole è il senso compositivo: le linee e i colori acquistano maggior valore; come ne "Il processo" in cui le forme definivano le figure, il simbolo è qui espresso nella valenza di pochi ma circoscritti colori, che troveranno maggior forza d’espressione in "Egostrutture". Sempre alla Incom si mise in cantiere il successivo, "L’asfodelo" (1964). Piccardo si accorse delle ottime qualità di Lello Fantasia affidandogli le animazioni dell’omino squadrato dalla testa tondeggiante protagonista del film. Il segno qui ha carattere proprio giocando fortemente sulla modulazione; non vi sono particolari: il personaggio è di fattura primitiva, come scolpito ma trasparente, definito da un segno talvolta sottile fino ad esser nutrito di inchiostro su fondi neutri che talvolta aggettano una luce cromatica accendendo il viso del timido omino.
Altri grandi personaggi usciti dalla Gamma Film furono "Ulisse e l’Ombra" la cui ideazione si deve al bravo Osvaldo Piccardo. Ulisse e la sua ombra rappresentano, come mi raccontò Piccardo, una metafora della nostra coscienza. Gli stessi episodi sono andati, lungo il loro svolgersi, in una visione più onirica che narrativa.
Il personaggio di Ulisse, dai baffoni puntuti e la “paglietta”, e la sua ombra, così dissociata ma indissolubilmente salda alle sue gambe puntute, non rappresentano altro che i poli estremi di una contraddizione. Sono due esseri a sé stanti ma che comunque non riescono più a staccarsi. L’Ombra più che ‘ombra’ sembrerebbe quasi la sua coscienza interiore, uno spiritello che gli vive accanto pensandola tutta all’opposto del suo appartenente.
Soprattutto non sono da scordare alcuni spazi pubblicitari a sé stanti come "Intermezzo", "Girotondo", "Gong", "Doremì", "Break", ecc. Particolarmente riuscite le piccole sigle di "Arcobaleno" e di "Tic-Tac", realizzate nella metà degli anni 60 da Piccardo, trovando ancora una volta, un’ ottima sintesi delle linee, giungendo ad un disegno ‘asciutto’ assai piacevole.
Chiusa la sede della Incom, l’intero patrimonio venne acquisito dall’Istituto Luce e Piccardo tornò a Milano dove continuò a svolgere la sua attività per Gavioli. Per la Osram realizzò un interessantissimo filmato dal vero a silhouettes nere negli stabilimenti milanesi della Gamma, curandone peraltro soggetto, sceneggiatura e regia. Piccardo, amante della contrapposizione, (vedi i personaggi di "Gigetto carogna e il capostazione", "Ulisse e l’Ombra" e le tematiche espresse ne "L’onesto Giovanni"), adattò sapientemente alla pubblicità una tecnica che evidenzia immediatamente i due opposti: ombra e luce, in una continua dinamica complementare.
Piccardo infine volle giungere alla ‘summa’ della propria ricerca ideando un personaggio definito dal suo stesso profilo. La diatriba in questione, se così è giusto dire, sorse pubblicamente in seguito ad un articolo pubblicato dalla neonata Isca (4) a firma di Massimo Maisetti, interamente dedicato a Cavandoli quale ideatore de "La linea".
Piccardo, lungi da ogni forma di polemica, inviò una lettera al Presidente dell’Isca nella quale spiegava esaurientemente le circostanze che lo portarono, a suo dire, all’ideazione di tale personaggio.
Ecco la lettera che Osvaldo Piccardo inviò alla redazione dell’Isca: In relazione al vs. servizio-intervista dal titolo "UN AUTORE ITALIANO: OSVALDO CAVANDOLI", firmato Massimo Maisetti, desidero rettificare le informazioni in esso contenute comunicandovi che l’idea della LINEA, così come realizzata da Cavandoli, è nata nelle seguenti circostanze: il giorno 11 aprile 1964, a Milano, il produttore, signor Brunetto Del Vita mi incaricò personalmente di fornirgli un’idea e dei disegni illustrativi per uno sfruttamento cinetelevisivo del prodotto Fibra Leacril.
Ero a quell’epoca direttore Film d’Animazione della Incom in Roma: il giorno 13 aprile riunii nel mio ufficio il gruppo creativo del reparto, nelle persone di Vittorio Sedini, Lello Fantasia e Guido Gomas, comunicando loro i termini della richiesta Del Vita.
Nei due giorni successivi si riunì la redazione e fu studiato il problema: ne venne fuori, in naturale pertinenza con l’oggetto (un elastico filo di fibra sintetica, indicato con lo slogan: Leacril, la fibra viva), l’idea di un omino disegnato col solo contorno lineare e prolungato a formare una linea tesa orizzontalmente da un capo all’altro del quadro.
Secondo l’intenzione creativa, l’omino avrebbe raccontato sinteticamente le cose più varie a mezzo della linea, la quale si sarebbe prestata elasticamente ad ogni suggerimento della fantasia.
L’idea venne descritta in forma letteraria e illustrata da alcuni disegni indicativi:il tutto consegnato da me al signor Del Vita il giorno 17 aprile 1964 in Milano.
Il giorno 27 successivo una telefonata del signor Del Vita a Roma mi informava che l’idea risultava gradita al cliente: malgrado ciò la cosa non ebbe seguito per motivi che non conosco, mentre il signor Del Vita tratteneva presso di sé soggetto e disegni, tuttora in sue mani.
Non invoco la famigerata legge sulla stampa, semplicemente fidando, per quella che mi sembrerebbe da parte Vostra una doverosa pubblicazione di quanto Vi comunico, nell’intestazione che abbiamo voluto dare al nostro bollettino trimestrale.
Le mie precisazioni, d’altronde, non negano per se stesse le circostanze indicate da Cavandoli, solo che anche accettandole per buone non mi pare possa parlarsi di nascita ma piuttosto di quell’evento ben più importante e straordinario che va sotto il nome di Risurrezione.
Non voglio però nascondere qualche mio dubbio su tutta la questione, non riuscendo a spiegarmi come abbia potuto uscire una linea da una pentola, specie poi ove il diavolo si sia preoccupato di applicarvi un coperchio a chiusura ermetica (5).
Gianni Rondolino alla p. 302 del suo famosissimo libro "Storia del cinema d’animazione", volle in qualche modo ricordare la possibilità che l’idea de "La linea" fosse di Piccardo pur riconoscendone la non assoluta originalità, scrivendo: "L’idea di costruire un raccontino, o meglio una serie di situazioni comiche o grottesche, utilizzando una semplice linea stesa da un capo all’altro dello schermo che assume via via le forme d’un personaggio divertente e di vari oggetti, pare sia di Osvaldo Piccardo e risalga al 1964. Fu tuttavia Cavandoli che la utilizzò nel 1968 per alcuni caroselli pubblicitari e il successo di quei piccoli spettacoli lo spinse a realizzare dei film a soggetto in cui il personaggio lineare deve di volta in volta superare le più impreviste difficoltà. […] E’ probabile, data la complessa e varia personalità di Piccardo, e il suo continuo sperimentalismo che il progetto di un film pubblicitario basato sullo sviluppo narrativo di una semplice linea sia suo (come ha recentemente dichiarato), anche se l’idea non è del tutto originale e può farsi addirittura risalire a Cohl e al suo disegno lineare continuamente mutevole. In ogni caso è indubbio che Piccardo, nel panorama del cinema d’animazione italiano, costituisce un caso un po’ particolare proprio per i suoi molteplici tentativi in direzione d’un superamento del disegno animato tradizionale e d’un recupero originale di esperienze d’avanguardia". (6)
In seguito andò a Monte Olimpino nei pressi di Como, portando le sue idee a maturazione nel successivo "Egostrutture" (1970) (7), basato su una personale visione mistico-esistenziale (8), com’era stato definito da Giannalberto Bendazzi nella sua straordinaria "Bibbia del cinema d’animazione", Cartoons. In realtà il film era l’epilogo di un progetto portato avanti assieme a suo fratello Marcello ed altri; in "Genesi e sviluppi di Egostrutture", spiegò che si tratta di un progetto, studiato e sviluppato per alcuni mesi, di indire una manifestazione, una specie di rassegna-mostra da tenersi a Como in sede da precisarsi, dal titolo “Struttura della Ricerca nel rapporto fra scienza e comunicazione visiva”. E’ Marcello a proporre a Osvaldo di partecipare, Munari è già disponibile, si sta procedendo alla costituzione di un gruppo di tecnici, intellettuali, artisti, critici d’arte del Comasco e di altrove.
Le parole-chiave, Struttura e Ricerca, rispondevano a due diversi aspetti del lavoro da fare; l’una, la struttura, si riferiva all’interazione fra i diversi settori nei quali si sarebbe articolata la mostra e alle modalità del suo svolgersi lungo un percorso portante a un certo risultato di fatto. Un lavoro cioè di impostazione coerente per l’iter di una libera ma ben motivata ricerca.
La ricerca avrebbe a sua volta spaziato e colto al volo, riferiti a un progetto e a finalità ben definite, fonti, oggetti, contatti, strumenti, informazioni, accesso a istituti scientifici di ricerca, le più recenti esperienze dell’underground statunitense, la Gestalt ecc...
Da qui, "Egostrutture 1", un film che come recita il prologo iniziale: "Ce film propose une nouvelle conception du reel fondee sur un modele structural psychobiologique unitarie et constant, a travers lequel l’univers et l’homme deviennent une seule chose" (9), firmato O.G.V. Piccardo, esprime la sua personalissima teoria trinitaria, paragonata a quelle finora formulate nel corso dei secoli dai più importanti scienziati, filosofi e matematici di tutti i tempi.
A questo ne seguì un altro, il sardonico "La rivoluzione" (1973), citato nel Bendazzi e scordato dallo stesso autore il quale ricordò che rimase incomputo.
Da allora Osvaldo Piccardo, pioniere e precursore, cui dobbiamo quelle geniali intuizioni nel prevedere i tempi, vive con la moglie Eva nella sua piccola casa di Rocca D’Arazzo e con loro tutti i ricordi e i segreti alchemici che lo hanno visto protagonista di un intero secolo di cinema disegnato in Italia.

Note:
(1)
Marcello Piccardo, La collina del cinema, NODO libri, Como, 1992, pp. 192
(2)
Walter Alberti, Op. Cit., p. 152
(3)
Giulio Cingoli, Il cartone animato lombardo dalle origini agli anni’70, in Arrivano i video, promosso dalla ‘Direzione Generale Cultura’ della Regione Lombardia
(4)
E’ interessante notare che sia Piccardo sia Cavandoli figuravano anche nello statuto di Isca tra i soci fondatori.
(5)
Lettera di Osvaldo Piccardo ad ISCA INFORMAZIONI, datata 1 ottobre 1973
(6)
Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Einaudi, Torino 1974, p. 302
(7)
Il film in questione si chiama Egostrutture 1, perché doveva essere il primo di una serie che trattava argomenti del genere, ma non ebbe seguito.
(8)
Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio Editori, Venezia, 1998
(9)
Il prologo fu scritto in francese perché pensato in funzione della presentazione ad Annecy del suddetto film.

Fonte:http://www.cinemino.info/?p=4264

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